Una volta che vedi, non è possibile tornare a non vedere”: sembra che questa fosse una tra le frasi preferite di uno dei miei eroi – Ray C. Anderson, tristemente scomparso, fondatore di Interface e uno dei grandi pionieri del business sostenibile.

Se siete tra quelli che ‘vedono’, a prescindere dalla natura della vostra rivelazione sul tema sostenibilità, sicuramente non avete più guardato al mondo con gli stessi occhi di prima. E’ però molto facile dimenticare la visione che avevamo del mondo prima che il nostro paradigma personale cambiasse, e giudicare altri che finora non hanno sperimentato un tale cambiamento. Anche quando le nostre convinzioni si modificano, noi umani abbiamo una capacità impressionante di persuaderci che abbiamo sempre pensato così.

Per promuovere il caso della sostenibilità tra gli scettici dovremmo invece considerare vari percorsi, in primis l’idea – forse eretica – secondo la quale l’essere verdi è irrilevante. Dal momento in cui lasciamo che la sostenibilità venga definita quasi esclusivamente con il termine ‘verde’, ostacoliamo una narrativa molto più ricca ed ampia.

Nel suo significato originale e più ampio, la sostenibilità è una questione di longevità: la capacità di sopravvivere e prosperare per molte generazioni. In un inquadramento del genere, si crea un terreno molto più fertile per un dibattito costruttivo sulla sostenibilità che vede la presenza di diversi business leader scettici. In questo modo, infatti, vengono a porsi questioni infinitamente più grandi e, per tali leader, assai più significative relative alla fattibilità fondamentale di lungo termine.

Oggi le imprese si trovano ad operare in condizioni del tutto diverse, essendo esposte non solo al cambiamento climatico, alla crescita della popolazione e alla diminuzione delle risorse naturali, ma anche, tra l’altro, all’ascesa della cosiddetta Generazione Y e a un presidio pubblico più stretto, come causa della crisi finanziaria.

Per raggiungere la longevità, occorre che le imprese riconoscano queste trasformazioni epocali e le leggano non come vincoli sul business as usual, ma piuttosto come una opportunità perfetta per riconquistare clienti e dipendenti delusi, progettando qualcosa di migliore.

Vale la pena notare l’appunto del CEO Unilever Paul Polman al lancio del Sustainable Living Plan aziendale, “non un progetto celebrativo, ma un nuovo modello di business da implementare”. Quelli che ‘vedono’ capiscono che la sostenibilità non è un’agenda a sé stante. E’ un concetto culturale, una prospettiva sulla core business strategy che stabilisce un legame indissolubile tra il successo a lungo termine e l’obiettivo di uno scopo sociale più alto.

Uno scopo al cuore del profitto

Probabilmente, la maggior parte dei business leader non si rivolgerebbe ad un’agenzia creativa per una consulenza sulla strategia aziendale. Invece forse dovrebbe. La ragione è che oggi più che mai, un’impresa che mira al successo di lungo termine deve avere un senso fortemente radicato del perché esiste, cosa rappresenta, e perché è importante.

E tale scopo dovrebbe essere evidente negli stessi prodotti e servizi che offre, nella propria organizzazione aziendale e nella conduzione quotidiana del business – si tratta, in altre parole, di branding strategico. In ultima analisi il brand è l’elemento che accomuna le storie di successo di imprese diversissime, come i nuovi arrivati Innocent e Icebreaker e colossi longevi come Interface, Unilever e Marks & Spencer.

Ognuna di queste organizzazioni, ciascuna a suo modo, ha integrato all’interno della core business strategy un senso radicato di un proprio scopo – una ragione d’essere che unisce le convinzioni delle persone che lavorano per l’azienda con i fondamentali valori umani dei clienti dell’impresa.

Tu, impresa, perché esisti (oltre che per fare utili per gli azionisti)? Perché le persone dovrebbero scegliere i tuoi prodotti/servizi? Perché le persone dovrebbero buttarsi giù dal letto al mattino per venire e lavorare per te? Se domani non ci fossi più, per quale motivo la tua assenza importerebbe a qualcuno?

In un mondo che cambia sempre più rapidamente, le risposte a questi tipi di domande devono essere genuine e convincenti per creare una via verso il successo duraturo. I modelli di business vanno e vengono, inevitabilmente. L’elemento che può e deve unirli tutti è una determinazione assoluta a fornire ciò che Umair Haque chiama “valore più spesso” – il collegamento della strategia di business al progresso sociale.

Via il nuovo, ritorni il vecchio

Se l’idea di affidare la strategia aziendale ad un gruppo di creativi fa tremare i polsi, tranquilli: la tesi esposta qui è radicata in principi solidi e longevi (anche se forse dimenticati) per la formulazione di strategie vincenti.

Nel 1871 il feldmaresciallo Helmuth von Moltke definì la strategia come “un sistema di espedienti … l’evoluzione di un’originale idea-guida in circostanze che cambiano continuamente.” Una definizione che sembra fatta su misura per i nostri tempi.

La questione, quindi, non è se vi potete permettere di rivolgervi agli specialisti creativi per identificare il vostro scopo, è se vi potete permettere di non farlo. Piaccia o no, lo scopo è il cuore pulsante della vostra impresa.

E se non riuscite a sentirne il polso, la vostra impresa potrebbe finire all’obitorio.

Dan Gray  è un visiting fellow del Ashridge Centre for Business and Sustainability e autore di Live Long and Prosper: The 55-Minute Guide to Building Sustainable Brands

Fonte: The Guardian