Di Luca Valpreda

Abbiamo incontrato Simone Desmarchelier, console generale dell’Australia a Milano e responsabile della Australian Trade Commission. E’ stata l’occasione per fare il punto sulle relazioni tra i nostri due Paesi nel campo della green economy e sulle iniziative in atto per incentivare le imprese italiane a investire in Australia.

Qual è l’atteggiamento del governo Australiano sul tema della sostenibilità?

C’è una forte sensibilità, e direi anche preoccupazione, verso le problematiche del climate change in Australia. E’ in gioco il nostro futuro e ne siamo consapevoli. Il governo federale ha da tempo avviato molte iniziative per sostenere quella che noi chiamiamo la clean technology, la tecnologia pulita. Innanzi tutto sul fronte delle energie rinnovabili. Il nostro Paese è un formidabile esportatore di carbone e le nostre miniere, possiamo dire, da più di vent’anni garantiscono una crescita forte e costante all’Australia. Ma sappiamo di dover cambiare rotta e di dover convergere sulle energie rinnovabili, che tra l’altro, trovano nel nostro Paese condizioni spesso ideali.

Su quali forme di energia rinnovabile vi state concentrando?

Ci muoviamo almeno su quattro fonti: fotovoltaico, geotermico, eolico e sfruttamento delle maree. L’Australia è un Paese immenso e oltre il novanta per cento del suo territorio assorbe ogni anno quasi 2.000 KWh di luce solare per metro quadro, una situazione perfetta per il fotovoltaico. Inoltre disponiamo di risorse geotermiche molto significative, di venti costanti nella parte meridionale della Nazione e di una potenzialità rilevante che deriva dallo sfruttamento delle maree, stimata in circa 170.000 MW. Tenendo poi conto della particolare vastità del territorio australiano siamo molto interessati allo sviluppo di soluzioni off grid, per garantire energia pulita anche nelle località più remote del nostro outback.

Ci può dare un valore economico di riferimento?

Il nostro obiettivo è quello di raggiungere entro il 2020 la soglia del 20 per cento dell’energia prodotta attraverso fonti rinnovabili. Questo comporterà investimenti nel settore di circa 20 miliardi di dollari australiani, ovvero quasi 15 miliardi di euro.

Il governo Australiano sostiene questi investimenti?

C’è una apposita agenzia che si chiama ARENA e l’acronimo sta per Australian Renewable Energy Agency. Amministra oltre 3 miliardi di dollari australiani (2,2 miliardi di euro) destinati alle attività di ricerca e sviluppo, di produzione e commercializzazione, e ha iniziato a operare a metà 2012. Ma ARENA non è la sola agenzia di sostegno. C’è un fondo specifico, l’Energy Security Fund, che ha l’obiettivo di facilitare la transizione di circa 2.000 MW dal carbone alle rinnovabili. C’è l’iniziativa Carbon Farming che promuove opportunità specifiche per agricoltori e forestali per aiutarli a ridurre i loro impatti ambientali. Ancora c’è il programma settennale Clean Technology che prevede un miliardo di dollari australiani (720 milioni di euro) in finanziamenti a fondo perduto per quelle imprese che intendono investire in tecnologie pulite ed energeticamente efficienti.

Ma sono programmi aperti anche agli italiani che vogliono investire in Australia?

Certamente. Tutte le opportunità che le abbiamo descritto e molto altre sono aperte a tutte le società straniere, quindi anche alle imprese italiane. E’ proprio questo uno dei ruoli principali del nostro Consolato e della nostra Australian Trade Mission: dare informazioni precise e aiuto concreto alle aziende italiane per incentivarle a  intervenire e investire in Australia. Tenga conto che i campi in cui abbiamo avviato collaborazioni tra Italia e Australia non riguardano solo il settore energetico, ma anche altri, come le biotecnologie e le infrastrutture. In generale, noi siamo particolarmente attenti a quelle imprese italiane che sono capaci di mettere in campo soluzioni dalla forte componente innovativa. Esiste in Italia anche l’Australian Business Network, che rappresenta un forum che ha il compito di facilitare l’apertura di relazioni tra le imprese italiane e australiane, che siano esse importatrici o esportatrici.

Come sa, noi siamo in particolare attenti agli aspetti della comunicazione. Quali strumenti utilizzate per far conoscere le opportunità che esistono in Australia?

I piedi, i taxi, l’auto, il treno, l’aereo… scherzo… ma non troppo! Noi non facciamo pubblicità sui quotidiani economici, come fanno altri Paesi, ma ci concentriamo moltissimo sui contatti diretti. Ricerchiamo le aziende leader nei settori di mercato che ci interessano e a queste chiediamo appuntamenti per far conoscere i vantaggi a disposizione di chi investe in Australia. Siamo anche sempre disponibili a organizzare visite mirate nel nostro Paese per incontrare i rappresentanti di uffici governativi e di imprese private australiane.

Organizzate anche incontri in Italia?

Sicuro. Organizziamo in Italia seminari, tavole rotonde, presentazioni. Abbiamo recentemente ospitato un esperto di infrastrutture, che ha spiegato come partecipare alle gare per progetti pubblici, e la rappresentante australiana del World Green Building Council. E a breve ci sarà un incontro con un esperto della TAV australiana che illustrerà i progetti in cantiere alle imprese italiane potenzialmente interessate.

Siamo anche attivi in Internet, con l’organizzazione di webinars specifici, per venire incontro alle esigenze delle aziende medie e piccole, che magari hanno più difficoltà a spostarsi.

Parlava di green building. E’ un tema “caldo” in Australia?

Molto. Le dicevo del Green Building Council Australia che è un’organizzazione no-profit che sostiene lo sviluppo di edifici civili e industriali che rispettino particolari requisiti green. Questo Council promuove un sistema di certificazione ecologica degli edifici, chiamato Green Star, che costituisce un forte impulso al settore. Tenga conto, per esempio, che tutti gli appalti che riguardano edifici pubblici, scuole, ospedali prevedono la certificazione obbligatoria. Ma anche le nuove costruzioni private devono rispettare questi requisiti. Così, già oggi, circa il 30 per cento dei palazzi a Brisbane e il 25 per cento a Melbourne sono certificati Green Star. Tra l’altro, il valore commerciale di questi edifici è mediamente superiore del 20 per cento rispetto a edifici analoghi, ma non certificati. Questo settore sta creando molto interesse tra le imprese italiane.

E’ un tema oggetto di campagne di comunicazione e sensibilizzazione?

Sì, ma forse il tema in Australia su cui siamo più concentrati, dal punto di vista comunicativo, è quello del risparmio idrico. Abbiamo lunghi periodi di siccità e per l’approvvigionamento dipendiamo fortemente dalle dighe. In molte case e in molti giardini sono stati installati serbatoi di riciclo o di cattura delle acque piovane, ma è chiaro che il comportamento delle persone rappresenta il fattore chiave per risparmiare acqua.

Torniamo a Italia e Australia. Ci fornisce qualche cifra, anche solo demografica?

Ho sotto mano i dati del censimento 2011: sono oltre 900.000 gli australiani che hanno antenati italiani, quasi il 4 per cento della popolazione, mentre sono 185.000 gli italiani che sono nati in Italia e attualmente sono cittadini italiani. Mentre noi australiani che viviamo in Italia siamo circa 30.000, mentre – e sono sempre dati che si riferiscono al 2011 – oltre 750.000 australiani hanno visitato in quell’anno l’Italia.

E la sensibilità verso i temi del’ambiente è molto diversa tra Australia e Italia?

Sì certamente. Qui in Italia riscontro un’attenzione particolare all’uso dell’energie elettrica. Quando finisce una riunione di sera, tutti spengono la luce. Cosa che – devo dire – non succede altrettanto di frequente in Australia. Sul fronte opposto metterei proprio l’uso dell’acqua. Nel mio Paese non potrei permettermi le lunghe docce che faccio in palestra qui a Milano. Dopo due minuti, la vicina di doccia mi sgriderebbe!