La sostenibilità è stata una delle grandi questioni in discussione al World Economic Forum in Davos la settimana scorsa, dove si è parlato di problematiche come la sicurezza alimentare e il riscaldamento del pianeta; temi sui quali è necessario convincere persone e organizzazioni con interessi molto diversi tra di loro ad agire per il bene comune.

Data la continua crescita degli spazi dedicati alla sostenibilità e alla trasparenza dagli ambienti politici e corporate, è lecito chiedersi quale ruolo possono svolgere gli esperti di relazioni pubbliche per spingere azioni e cambiamenti veri, anziché essere visti come spacciatori di greenwash e di offuscamento.

E se il ruolo delle RP non fosse la gestione della reputazione o la raccolta di fondi per azioni filantropiche del passato ma, al contrario, quello di generare cambiamenti positivi e di accelerare i progressi sui grandi temi della sostenibilità? Compiere progressi sulla sostenibilità significa convincere le multinazionali a modificare i propri processi produttivi e di approvvigionamento, i consumer a scegliere prodotti che fanno più bene o meno male, i policymaker a legiferare a favore dello sviluppo sostenibile. Sono sfide difficili, rese ancora più complicate dal fatto che proprio quelle organizzazioni dotate del maggiore impatto potenziale – le multinazionali, l’Onu, i governi – tendono ad essere molto lente nell’agire o nel cambiare direzione.

Aggiungi a questo il fatto che la sostenibilità richiede alle organizzazioni di collaborare con strani “compagni di letto”, e si hanno tutti gli ingredienti perché non succeda niente di rapido.

Un ruolo più dinamico per le RP

È qui che le RP possono assumere un ruolo più dinamico ed essere agenti per il cambiamento anziché soggetti addetti a “lucidare” le reputazioni. Alcuni soggetti – i lobbisti, ad esempio – si dedicano esclusivamente al cambiamento e sono abili nell’utilizzo dei media e delle RP per accelerare tale cambiamento.

L’assalto sofisticato di Greenpeace sul brand Kit Kat nel 2010 con la campagna “give the orang-utan a break” ha portato nel giro di poco tempo a un annuncio da parte della Nestlé che avrebbe identificato e rimosso dal proprio gruppo di fornitori quelli legati in qualche modo alla scomparsa delle foreste. Oggi anche qualche impresa sta sfruttando le RP come acceleratore del cambiamento, con benefici tra pubblici diversi, tra cui gli stessi dipendenti. Un orientamento molto trasparente e tempestivo a favore della sostenibilità può portare risultati sorprendenti.

Paul Polman, amministratore delegato di Unilever (che ha ottenuto ampi plausi per la sua agenda progressista), ha utilizzato i media per spingere la propria agenda più velocemente di quanto sarebbe stato possibile altrimenti. Il suo messaggio “i grandi temi del mondo richiedono nuovi approcci, nuovi modelli di business e nuove partnership; le imprese responsabili devono assumere un ruolo più attivo di leadership” viene riportato chiaramente dai media. I suoi dipendenti (Unilever ne ha 170.000) leggono il messaggio e sanno in quale direzione va la loro azienda. Non ci si può ritirare a fronte di dichiarazioni così nette e trasparenti, mentre altrove i lavoratori potrebbero adottare un atteggiamento di cautela su eventuali promesse fatte al chiuso di una sala riunioni.

E, tutto ad un tratto, essi sono liberi di professare apertamente le proprie passioni senza doversi preoccupare del fatto che l’entusiasmo sulla sostenibilità sia in qualche modo giudicato inaccettabile nell’ambiente lavorativo o che potrebbe ostacolare la loro carriera.

Costruire la fiducia con le Ong e i campaigner

Oltre ad allineare e mobilitare il pubblico interno, le RP contribuiscono anche a migliorare la fiducia tra le imprese e le Ong.

Si sente parlare molto della necessità di partnership e collaborazioni più strette tra le organizzazioni a scopo di lucro e quello non a scopo di lucro. D’altro canto le aziende stanno chiedendo alle Ong di compiere un salto difficile, da cane di guardia a partner delle imprese. Se poi si tiene presente che tutto ciò richiede anche un cambiamento dei modelli di reperimento dei fondi, passando dai contributi e dalle donazioni pubbliche al finanziamento fornito dalle imprese, è facile capire la diffidenza di alcune Ong non convinte di voler appoggiare tale nuovo modello.

Proprio per questo le pubbliche dichiarazioni di intenti ad alta visibilità fatte dai business leader possono servire a convincerle a compiere il salto. Quando Sir Andrew Witty, AD di GlaxoSmithKline, cerca di convincere un pubblico scettico sulla serietà dei piani della sua impresa per una collaborazione attiva con organizzazioni esterne, concede un’intervista ai media, come questa al Guardian: “Si dice che pubblichiamo solo i risultati positivi dei test. Non è così, pubblichiamo tutto. Ma se la gente non sa o non ha ancora accettato questo nostro convinto impegno alla trasparenza, significa che dobbiamo lavorare di più per trasmettere il nostro messaggio.”

Lezioni dai leader

Come operatore nel settore delle pubbliche relazioni, ho interesse a dire che le RP hanno un ruolo da svolgere per accelerare i progressi sul fronte sostenibilità, ma ciò non toglie niente al valore delle lezioni da trarre da leader come Polman and Witty. Ecco le mie tre principali indicazioni per un approccio corretto:

  • Impostate e comunicate una direzione chiara sulla sostenibilità, consentendo ai vostri lavoratori di parlare in modo appassionato e libero di quello che fate. I vostri lavoratori sono i vostri migliori sostenitori.
  • Siate trasparenti circa le vostre motivazioni. Le imprese devono perseguire obiettivi di business perché le proprie iniziative siano sostenibili. Non permettete alle RP di avvolgere le vostre motivazioni di business in stucchevoli mezzi racconti sul bene sociale generato dalle vostre attività.
  • Raccontate il percorso. Parlate con franchezza di quello che non funziona, non solo di quello che va bene. La vulnerabilità sul tema della sostenibilità trova un riscontro sorprendente tra gli stakeholder e in un pubblico spesso cinico.

 

Andrew Last è amministratore delegato e co-fondatore di Salt con oltre 20 anni di esperienza nel campo delle relazioni pubbliche, lavorando con imprese e Ong per integrare la missione sociale con lo sviluppo del business.

Fonte: The Guardian