Ma un sistema economico come quello italiano, basato sulla PMI, non può non supportare le aziende medio piccole nel dotarsi di politiche di CSR e  di strumenti di rendicontazione. É ormai legge, con il decreto legislativo 254/2016, l’obbligo per le aziende più grandi (ovvero che contino più di 500 dipendenti, o oltre 20 milioni di stato patrimoniale o oltre 40 milioni di ricavi netti dalle vendite) di reportare le politiche attive, le strategie e le azioni in tema di sostenibilità. Il legislatore in sostanza spinge i grandi gruppi economici del paese (si stima che il decreto coinvolgerà più di 300 imprese quotate fra banche, assicurazioni o altri enti pubblici rispondenti ai criteri summenzionati) ad adottare una reportistica integrata, ovvero ad inserire nei documenti di programmazione economica e di rendicontazione di bilancio anche tutti quegli elementi che hanno a che fare con la sostenibilità. Questo “obbligo per legge” mette in luce però alcune criticità. Vediamo quali. Innanzitutto viene meno il principio di responsabilità: ovvero quello che sta alla base della CSR. La volontaria, scientifica e sistematica azione di restituzione che gli attori economici mettono in azione per rifondere i territori su cui operano. Non ce lo ripetiamo mai abbastanza: la responsabilità d’impresa non è una passata di trucco sulle pagine dei bilanci, né un tè con pasticcini fra azionisti. È essa stessa un’azione economica che porta profitto (lo dimostrano a vario titolo le ricerche AIAF e gli ultimi rapporti fra cui #GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere), con la differenza che, a goderne, non è solo l’azionista, ma anche la comunità che ospita l’azienda. In secondo luogo quest’azione legislativa taglia fuori la maggior parte delle aziende di questo paese: le piccole e medie imprese italiane sono circa 160mila secondo il Rapporto Cerved PMI 2016 ed occupano oltre 3.8 milioni di addetti. Queste società, che rappresentano più di un quinto (il 22{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622}) delle imprese che hanno depositato un bilancio valido, hanno generato ricavi pari a 852 miliardi di euro e un valore aggiunto di 196 miliardi. Siamo di fronte al nervo portante del tessuto economico del paese. Ma sono realtà talvolta non in grado di destinare risorse umane e finanziarie a progetti di rendicontazione, data la loro dimensione ridotta. Ecco allora che è necessario interrogarsi sull’efficacia di una misura, come quella contenuta bel D.lgs 254, che taglia fuori una fetta importante dell’economia nazionale. Se vogliamo che la CSR e l’attenzione ai temi della sostenibilità diventino un interesse comune e diffuso, allora dobbiamo mettere a sistema soluzioni che consentano anche alle realtà medio piccole di poter mettere in campo (e successivamente rendicontare in maniera integrata) il loro sforzo per la sostenibilità. Altrimenti avremo sempre e solo una visione parziale dell’impegno del Paese verso obiettivi di sviluppo sostenibile. Se poi consideriamo che tale parzialità è aggravata dal fatto che meno della metà delle aziende quotate – e che per dimensioni ora saranno obbligate a rendicontare integralmente le politiche ambientali – reporta attualmente le proprie politiche, allora diventa tanto più necessario far sì che anche le aziende più piccole possano dotarsi di strumenti di rendicontazione a basso costo. È un tema che interessa il legislatore, le aziende e non ultimo i professionisti che a vario titolo si occupano del tema.  ]]>