di Guido Ruffinatto Mobilità sostenibile, sostenibilità della catena di fornitura, valore economico della risorsa acqua, ma anche povertà energetica e welfare aziendale. Sono solo alcuni dei temi che Amapola ha affrontato nei suoi giorni di impegno presso il Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale lo scorso 3 e 4 ottobre. Temi complessi che rappresentano esempi dell’impegno che un’azienda può prendersi in termini di responsabilità sociale. Come tali devono essere presentati nella maniera più comprensibile possibile al pubblico non specialista e agli stakeholder cui l’azienda si riferisce. Dagli eventi che abbiamo moderato emerge un quadro vivace e di consapevolezza. Pensare la mobilità, ovvero ripensare i nostri spostamenti La mobilità sostenibile, un tema complesso che in realtà interessa diversi temi minori – dalla sicurezza alla salute – è oggetto di riflessione e azione per le realtà imprenditoriali e politiche che si occupano di trasportistica. Nel corso del panel moderato da Sergio Vazzoler, a cui sono intervenuti Ilaria Biffi di Autoguidovie, Mauro Giovenzana di SAP, Andrea Leverano di Drive Now e Gloria Zavatta di Amat srl, è emersa la necessità di un’azione incrociata fra decisore pubblico e attore privato per “mettere a terra” politiche concrete ed attuare soluzioni efficaci. Nel complesso è di un profondo mutamento culturale che si sente la necessità: l’utilizzo del mezzo privato, è ancora la maggiore fonte di inquinamento. Non solo. Val la pena ricordare che l’auto di proprietà occupa uno spazio pubblico che non può essere utilizzato dalla comunità. Nella sola città di Milano, ad esempio, le auto parcheggiate occupano una superficie pari a 400 campi da calcio (dati AMAT). Un forte investimento sul trasporto pubblico aiuterebbe a mitigare la situazione inquinamento e occupazione di spazio che può tornare ad essere, ad esempio, un prato. Il trasporto pubblico, anche se gestito da privati, soffre tuttavia la mancanza di investimenti e i tagli operati sulle tratte mantengono un vizio che si autoalimenta: meno mezzi significa tratte più ingolfate e con minori frequenze di passaggio. Fattore che produce sfiducia nell’utenza che, di conseguenza, sceglie sempre meno il mezzo pubblico, giustificando i tagli di cui sopra (ed aumentando il ricorso al mezzo di proprietà con i suoi correlati effetti negativi). È, come dicevamo, un tema complesso che va affrontato da diverse angolazioni. Da un lato aumentando la scelta a disposizione del cittadino/utente (mezzi pubblici, car sharing pubblico, free floating privato, intermodalità) dall’altro investendo in cultura e informazione. Una maggiore consapevolezza dei costi di utilizzo dell’auto e del reale impiego che ne facciamo (il 30{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del tempo che passiamo a bordo della nostra auto è impegnato nella ricerca di parcheggio, ad esempio) contribuirebbe a renderne minore l’utilizzo. Ma è dalla ricostruzione del clima di fiducia fra consorzi gestori e utenti che si deve partire per spezzare il circolo vizioso: meno corse/meno utenti (e meno soddisfatti)/meno finanziamenti/meno corse. Che tracce lascia in giro per il mondo ciò che compriamo? The dark side of the supply chain Un concetto che emerge chiaramente dalla riflessione attorno alla CSR è che si tratta di “restituzione”. Restituzione da parte di un attore che agisce su un territorio e in seno a una comunità da cui trae ricchezze. Restituzione di valore aggiunto. Non ci si discosta di molto da qui in ogni ambito in cui si parla di responsabilità di impresa. Ma quando il territorio da cui traggo ricchezza (o materia prima necessaria ad alimentare tale ricchezza) è molto lontano dalla mia sede operativa? Ecco che diventa necessario interrogarsi anche sulle tracce che lasciamo lungo il nostro passaggio e sulla profondità delle impronte che lasciamo anche quando la strada che percorriamo è lontana da casa. Nel corso del panel moderato da Luca Valpreda insieme a Danilo Benvenuti di Asia Pulp & Paper, Mario Cerutti di Lavazza, Indira Franco, di Fairtrade Italia, Massimiliano Ghittino di Sedex, Luciano Pirovano di Bolton Alimentari, Eleonora Giada Pessina di Pirelli e Marco Stampa di Saipem, si è cercato di dare una risposta, e illustrare soluzioni concrete, per rendere sostenibile la catena di fornitura. La sostenibilità della supply chain è un elemento di analisi concorrenziale per le aziende che, sempre più numerose, scelgono di rendicontare la propria azione responsabile. Formazione in loco, audit approfonditi sul rispetto dei diritti umani e del lavoro applicati dai propri fornitori e vendors verso i loro collaboratori, rispetto dell’ambiente in cui si opera, sono solo alcuni degli elementi che vengono presi in considerazione nei format di accreditamento applicati dalle aziende nel processo di procurement. Il green procurement è un elemento che non solo caratterizza la responsabilità e la sostenibilità delle aziende, ma diviene anche un elemento che ne accresce la reddittività. Una catena di fornitura sostenibile sedimenta la percezione positiva di un’azienda da parte dei suoi stakeholders, posizionandola sul mercato in maniera efficace, e difende l’ambiente, che è la vera ricchezza. Non solo: se la mia materia prima fondamentale è la gomma naturale (è il caso di Pirelli ad esempio) e tale materia prima è difficilmente sostituibile con materiale sintetico, ho tutto l’interesse a difendere l’ecosistema da cui mi approvvigiono (le foreste indonesiane) cercando di preservarle e fornendo formazione ai miei fornitori perché sappiano agire sull’albero in maniera da preservarlo e perpetuare la foresta stessa. Ecco allora che la sostenibilità, applicata alla catena di fornitura, diviene una leva formidabile per alleggerire l’impatto sull’ambiente.]]>