Sostenibilità e qualità. La scelta di Chiarlo

Mag 14, 2017

Nel 2011, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha avviato il progetto nazionale VIVA “La sostenibilità nella vitivinicoltura in Italia”, che mira a migliorare le prestazioni di sostenibilità dell’intera filiera vitivinicola attraverso l’analisi di quattro indicatori scientificamente riconosciuti e sviluppati sulla base di standard e normative internazionali: Aria (impronta climatica), Acqua (impronta idrica), Vigneto (impatto delle pratiche di gestione agronomica) e Territorio (impatto socio-economico-culturale).
Nove aziende aderirono alla fase pilota del progetto, fra cui Michele Chiarlo, casa vinicola di Calamandrana in provincia di Asti, con però alcuni importanti Cru di Langa fra cui Cannubi, Cerequio e Asili. Abbiamo parlato con Stefano Chiarlo per capire meglio come si concretizza l’adesione di un’azienda ad un protocollo nazionale, che impegno comporta, che risultati garantisce.
Signor Chiarlo, la sostenibilità è anche un driver di vendita? Orienta la scelta dei consumatori più sensibili?
«È ancora presto per dirlo. Per noi è il naturale proseguimento di un percorso prima di tutto filosofico che è iniziato molti anni fa. Fare vini sostenibili è quello che abbiamo sempre fatto. Una certificazione terza ed autorevole, come quella del protocollo VIVA, è un elemento in più, che certo arricchisce il brand, ma non ne stravolge l’impostazione e lo stile. Ribadisco noi eravamo già sostenibili»
Da che vigneti (e vini) avete iniziato?
«Dal Barolo Cannubi nel 2010 e dal 2013 abbiamo esteso l’applicazione del protocollo a tutti gli altri cru».
Che comportamenti adottate in vigna
«Siamo di fatto biologici. In vigna non diserbiamo, ma manteniamo i filari inerbiti con essenze diverse a seconda delle caratteristiche del terreno. Privilegiando ad esempio leguminose sulle marne, per fissare azoto nel terreno,  mentre utilizziamo specie che assorbono bene l’acqua su terreni sabbiosi. Da analisi che abbiamo fatto condurre dall’Università, il terreno del nostro cru Cerequio mostra una biodiversità simile a quella di un bosco ceduo ed il terreno, anche a diversi strati di profondità, si presenta integro e pulito».
Ed in cantina?
«Abbiamo puntato ad abbassare le emissioni di CO2, alleggerendo ad esempio il peso delle bottiglie di un 30%, abbiamo abbattuto il consumo idrico nei risciacqui, riciclando l’acqua, sostituito l’uso delle cassette di legno con quello di cassette di cartone riciclato, ma soprattutto abbiamo investito nella formazione del nostro personale, perché il cambiamento virtuoso fosse esteso a tutta la filiera. Ciò che ci ha convinto del protocollo VIVA è che pur essendo molto serio e strutturato, ci consente di non mettere in secondo piano quello che per noi è l’obiettivo più importante: la qualità».
 Cioè vi consente comunque pratiche agronomiche intelligenti e su misura?
«Certo. Le dirò di più: abbiamo notato che le nostre uve sono mediamente più sane di quelle coltivate in regime biologico, e questo ci consente di ridurre il ricorso ai trattamenti. Nel 2014, anno difficile e piovoso, abbiamo utilizzato il rame solo 10 volte contro una media di 15 degli altri produttori. Abbiamo cioè avuto uve più sane, pur usando meno trattamenti, e di conseguenza anche un terreno più pulito».
La sostenibilità oltre che ambientale è anche economica? Che impatto ha questa conversione sul bilancio dell’azienda?
«Nella fase iniziale comporta un investimento anche importante: per ridurre i consumi energetici abbiamo fatto ricorso all’ultima generazione di caldaia a convezione, abbiamo acquistato una riempitrice che lavora in regime di vuoto pressoché assoluto o sostituendo l’ossigeno residuo con gas inerti, come l’azoto: questo ci consente di ridurre drasticamente l’utilizzo di solforosa, fino al 30% in meno. È chiaro che inizialmente si spende di più, ma l’impatto economico si ammorta nel tempo e soprattutto vi è un immediato guadagno in termini di sostenibilità sia del vino che dell’intera produzione».
Ha avuto un impatto anche sul prezzo d’etichetta?
«No perché il prezzo segue logiche differenti, che rispondono alla rarità del vino, all’andamento del mercato etc etc. Inoltre abbiamo inteso non scaricare sui nostri clienti una scelta aziendale autonoma e praticata da anni, anche prima di VIVA».
Come informate i consumatori di questa rivoluzione green?
«C’è l’etichetta innanzitutto, con un QR code che fornisce tutte le informazioni sulla carbonic foot print e sulle pratiche sostenibili adottate e poi stiamo accludendo alle casse in spedizione un vademecum che racconta i principi ispiratori della scelta di Chiarlo».